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L'eccesso di zuccheri può portare a depressione
Non è affatto vero che consolarsi con un barattolo di gelato o una scatola di cioccolatini sia il sistema migliore per affrontare una situazione negativa: invece che migliorare l’umore, un eccesso di zuccheri può aumentare il rischio di depressione. Lo sostiene uno studio pubblicato su Bmc Psychiatry che ha rilevato come un aumento di 100 g/die di zucchero nella dieta si collegherebbe a una prevalenza di depressione più elevata del 28%.
"Studi precedenti hanno collegato fattori dietetici come l’assunzione di caffeina, pesce e verdure al rischio di depressione", hanno scritto gli autori. “Tuttavia, solo pochi hanno esaminato la relazione tra consumo di zucchero e sintomi depressivi”.
I ricercatori hanno analizzato i dati di 18.439 adulti di età pari o superiore a 20 anni che hanno partecipato al National health and nutrition examination survey tra il 2011 e il 2018.
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I dolcificanti artificiali alterano il microbiota intestinale
Il consumo di dolcificanti non zuccherini (Nss) porta a cambiamenti significativi nella diversità e nella composizione della flora microbica intestinale e nei livelli dei marcatori infiammatori circolanti. Lo evidenzia uno studio nel quale i ricercatori hanno analizzato campioni dello studio Reimagine (Revealing the whole intestinal microbiota and its associations with the genetic, immunologic, and neuroendocrine ecosystem) per valutare i potenziali effetti del consumo di Nss sul microbiota del lume duodenale.
Sono stati analizzati soggetti che consumavano dolcificanti non zuccherini e non contenenti aspartame (Nans; n = 35) e solo aspartame (Asp; n = 9), che sono stati confrontati con 55 partecipanti di controllo abbinati per età, sesso e indice di massa corporea. Un sottogruppo di 40 partecipanti ha fornito campioni di feci per ulteriori analisi.
La diversità alfa duodenale è risultata inferiore nei consumatori Nans rispetto ai controlli. L'abbondanza relativa (Ra) duodenale di Escherichia, Klebsiella e Salmonella era inferiore sia nel Nans che nell'Asp rispetto ai controlli, mentre l'Ra nelle feci di questi proteobatteri del phylum era aumentata sia nel Nans che nell'Asp.
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Omega-3 : Una gravidanza su quattro a rischio carenza
I risultati di uno studio pubblicato di recente su Public health nutrition evidenziano una carenza, di Omega-3 nel 25% delle donne americane in gravidanza prese in esame. Si tratta del “Demographic and health characteristics associated with fish and n-3 fatty acid supplement intake during pregnancy: results from pregnancy cohorts in the ECHO program”, studio condotto dall’ Harvard Pilgrim health care institute, i cui risultati giungono proprio a ridosso della pubblicazione, prevista entro fine anno, delle raccomandazioni dell’Oms e degli Us National Academies su rischi e benefici del consumo di pesce in gravidanza.
“Gli Omega-3 sono nutrienti essenziali per il nostro organismo”, sottolinea Emily Oken, autrice principale dello studio, docente presso la Harvard medical school e presidente del Dipartimento di medicina delle popolazioni presso l’Harvard Pilgrim health care institute. “Assumerne una quantità sufficiente durante la gravidanza è cruciale per prevenire parti pretermine e promuovere la salute e lo sviluppo neurologico ottimali del bambino”.
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Digiuno intermittente e rischio cardiovascolare: nuovi dati dividono gli esperti
Un'analisi condotta su oltre 20 mila adulti statunitensi ha rilevato che chi adotta un piano alimentare limitato a un arco temporale di meno di 8 ore al giorno, ha maggiori probabilità di morire di malattie cardiovascolari rispetto a chi si alimenta in un intervallo di 12-16 ore al giorno. I risultati della ricerca sono stati presentati all'Epidemiology and prevention lifestyle and cardiometabolic scientific sessions 2024 dell'American heart association (Chicago, 18-21 marzo 2024) e hanno suscitato reazioni contrastanti di illustri clinici e ricercatori italiani.
Il digiuno intermittente, ricordiamo, comporta la limitazione delle ore durante le quali è concesso mangiare a un numero specifico ogni giorno, che può variare in una finestra temporale dalle 4 alle 12 ore nell’arco delle 24 ore. Molte persone che seguono una dieta a tempo limitato seguono un programma alimentare 16:8, in cui mangiano in una finestra di 8 ore e digiunano per le restanti 16.
Precedenti ricerche hanno evidenziato come un digiuno intermittente sia in grado di migliorare diversi parametri di salute cardiometabolica, come pressione arteriosa, glicemia e colesterolemia.
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